Sciopero per rifiuto nella sostituzione di un collega assente

Roma_2011_08_07_Palazzo_di_Giustizia

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 26 gennaio 2016, n.1350, ha stabilito che: in tema di astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo collettivo contenga, come nel caso in esame, una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicché non sono illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta e il comportamento datoriale non è antisindacale.

Nel caso esaminato, il lavoratore era stato sanzionato dall’azienda con quattro giorni di sospensione per essersi rifiutato, nell’ arco di più giorni, di sostituire un collega assente, a fronte di un espresso obbligo in tal senso contenuto nell’ accordo sindacale applicato. Tale accordo prevedeva che la sostituzione, anche se svolta oltre il normale orario di lavoro, fosse remunerata con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione prevista per il lavoro straordinario. Il lavoratore si era giustificato affermando che tale rifiuto era dovuto alla sua adesione allo sciopero sindacale. La cassazione, di fatto, ribalta le sentenze di primo e secondo grado, affermando che lo sciopero deve intendersi quale astensione collettiva dalla prestazione attuata dai lavoratori per l’autotutela dei propri interessi e a costo della perdita della relativa retribuzione. Nel caso sopracitato, il lavoratore non avrebbe perso la sua retribuzione, in quanto avrebbe comunque lavorato la giornata ma semplicemente non avrebbe svolto le prestazioni orarie ulteriori richieste dal datore di lavoro. Per questo motivo la Cassazione ha deciso di non riconoscere le richieste del lavoratore.

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